Ero indecisa se recensire o no questo libro perché è impossibile valutare un testo di questo tipo; è una biografia completa ed esauriente della vita e dei progetti del grande Genio Rinascimentale. E’ una lettura “difficile” proprio perché, in ogni capitolo, si affronta un periodo della vita di questo personaggio oppure un suo progetto specifico, documentando il tutto in maniera dettagliata e precisa; si capisce, fin dalle prime pagine, l’immenso lavoro di studio e di ricerca che è stato effettuato per scrivere una biografia di questo tipo. L’autore riesce a trasmettere l’incredibile poliedricità di Leonardo analizzando non solo le sue opere e i suoi progetti, ma anche i suoi pensieri e il suo carattere. E’ scritto in modo chiaro e senza l’uso di “tecnicismi” per cui, tutti coloro che sono interessati a conoscere la figura di questo artista (e non solo!) possono affrontare la lettura senza problemi.
Romanzo corale di oltre mille pagine in cui si raccontano le vicende di due famiglie spagnole dalla Seconda Guerra Mondiale ai giorni nostri. Da una parte, la ricca famiglia Carrion e il capostipite, Don Julio, influente uomo d’affari arricchitosi negli anni d’oro del franchismo e che alla sua morte lascia l’intero patrimonio ai cinque figli. Alvaro, il più giovane tra i figli maschi si ritrova, suo malgrado, a scoprire il passato misterioso del padre e come ha costruito il suo impero immobiliare. Dall’altra parte, si narra della famiglia Fernandez, esiliata in Francia durante la guerra civile spagnola e tornata a Madrid solo alla morte di Franco negli anni Settanta; le vicende del capostipite Ignacio, vengono raccontate grazie alla figura della nipote Raquel Fernández Perea che, al contrario di Alvaro, conosce perfettamente la storia della sua famiglia. Alvaro e Raquel si innamorano e questa passione è più forte di tutti i drammatici eventi di cui verranno a conoscenza e ricuce, lo strappo creatosi nel corso dei decenni tra le due casate.
E’ molto complesso valutare questo romanzo perché la trama mi è piaciuta molto ma, a tratti, ho trovato difficile orientarmi e comprendere le dinamiche della narrazione. L’autrice ha saputo creare un intreccio appassionante e nello stesso tempo, ha raccontato un periodo drammatico per la Spagna, come quello della guerra civile, senza essere troppo ridondante. Tuttavia, la prima parte è troppo prolissa e ci sono descrizioni di ambienti e situazioni molto dettagliate che annoiano e non sono fondamentali per la comprensione dei fatti. Inoltre, il lettore è subito proiettato nelle vicende di entrambi i nuclei famigliari senza che gli si presentino né i molti personaggi coinvolti, né si faccia un’introduzione per capire meglio gli accadimenti presenti e passati di cui si tratterà. Insomma, le prime duecento pagine sono uno scoglio che il lettore deve superare con pazienza e rileggendo più volte alcune pagine, per poi passare ad una lettura che scorre più fluentemente coinvolgendolo completamente.
Mi sento di consigliarlo a chi predilige i
romanzi cosiddetti “famigliari” in cui si raccontano non solo le vicende che
interessano un’intera generazione ma anche, gli accadimenti storici che
avvengono intorno ad essa.
Quest’anno in vacanza ho deciso di portare il nuovo libro di Joel Dicker. Vi ricordate di questo autore? Ve ne ho parlato nella recensione del romanzo “La scomparsa di Stephanie Mailer” . Conoscendo già il suo stile, mi sembrava adatto come lettura vacanziera: avvincente ma non impegnativa!
Non mi sono sbagliata. Senza dubbio, è un testo coinvolgente ma, bisogna porre particolare attenzione ai vari “salti temporali”, attraverso i quali si dipana il racconto; infatti, c’è il rischio di rimanere disorientati e perdere il filo dei fatti accaduti. Già nei precedenti romanzi, l’autore, aveva strutturato l’intreccio adottando questa tecnica ma, questa volta ha creato tre livelli temporali, aggungendone uno, nel quale ha inserito parte della sua vita personale. Senza anticiparvi nulla, alcuni capitoli sono dedicati al ricordo del suo editore, morto recentemente a novantuno anni, al quale Dicker era molto affezionato; tale stima traspare in modo evidente attraverso gli episodi scelti per descrivere il loro legame.
Non riassumerò la trama, perchè l’intreccio è troppo complesso e sarebbe difficile non svelare nulla; posso solo anticipare che, contrariamente agli altri libri, questo è ambientato tra le alpi svizzere e non negli Stati Uniti. La trama si rinnova continuamente e Dicker è abile nello spargere falsi indizi, in modo da illudere il lettore di aver trovato finalmente la soluzione. La verità è così ben nascosta che l’identità della vittima è svelata solo a metà del romanzo: nulla è come sembra!
Devo ammettere che, in questo romanzo, l’autore si è concesso soluzioni abbastanza fantasiose e inverosimili però, il finale sorprende, per cui si può giustificare questa libertà narrativa; in fondo è pur sempre un romanzo! Per il resto, la modalità di scrittura è rimasta invariata; pertanto, il testo scorre fluentemente e anche i flashback relativi ad alcuni personaggi, non rallentano l’incedere della narrazione. La lettura procede fluida e le seicento pagine si divorano in pochi giorni.
Libro assolutamente consigliato, anche se non siete in vacanza, ma cercate un po’ di relax, staccando il cervello per qualche ora. Vi immergerete in un vero e proprio “enigma”!
Ho deciso di comprare questo libro che è il primo della serie di Fjällbacka poiché, da qualche tempo, sentivo parlare di questa autrice e più in generale, della giallistica svedese. Qualche anno fa ho letto con molto entusiasmo “Millenium Trilogy” di Stieg Larsson e probabilmente, il confronto tra i due testi ha inciso sul mio giudizio finale.
E’ un giallo puro ed è ambientato in un piccolo paesino svedese che ricorda la “Cabot Cove” di Jessica Fletcher. Il testo è caratterizzato da molti personaggi, ben descritti e ben collocati all’interno della narrazione che scorre fluentemente; l’intreccio è apparentemente semplice ma, come nel più classico dei polizieschi, l’apparenza inganna! Capitoli mediamente lunghi, dialoghi serrati che coinvolgono il lettore nell’indagine e nella vita privata della protagonista, Erica Falck, che è una scrittrice di successo ma, diventa detective, per scoprire l’assassino della sua amica d’infanzia.
Il finale è molto interessante e non così banale. Ho letto il racconto con interesse e curiosità quindi, come giallo, è assolutamente da consigliare però, non lo considero un capolavoro come è stato definito da molti lettori. Devo ammettere che, sebbene la trama sia avvincente e la scrittura efficace, alla storia manca, quel “particolare” o quella “caratteristica” che la renda davvero originale. Visto il periodo estivo, può essere un’ottima lettura “da spiaggia”!
“La viaggiatrice leggera” è il resoconto del viaggio intorno al mondo, intrapreso dall’autrice nel 1953; si può definire un “diario di viaggio romanzato” poiché, la descrizione dei fatti avviene in prima persona.
Katharina von Arx, studentessa venticinquenne di Belle Arti a Vienna, decide di andare a Zurigo a trovare la madre ma, passando per la via più “lunga” cioè, viaggiando verso est; chiede ad amici e conoscenti i fondi necessari per avviare l’impresa e si imbarca il 2 agosto del 1953 per Bombay. Ella porta con sé poche cose perchè, pensa di potersi sovvenzionare il viaggio dipingendo o facendo la babysitter ma, le cose non andranno propriamente così…
Esprimere un giudizio, risulta difficile. Se dovessi giudicare la trama e quanto questa mi abbia appassionata, l’opinione non sarebbe buona; le descrizioni degli ambienti sono troppo prolisse, i personaggi sono numerosi ma piatti e le situazioni ripetitive. Insomma, la narrazione scorre lenta senza che il lettore ne sia coinvolto. Buona parte del romanzo è ambientato tra l’India e Pakistan e solo negli ultimi capitoli, la protagonista racconta di altri paesi quali, Giappone e Stati Uniti regalando al testo un certo ritmo.
Se si considera l’epoca in cui è stato compiuto il viaggio e che le vicende raccontate sono realmente accadute, non si può che giudicare il racconto in maniera positiva. E’ sorprendente pensare che, a metà del Novecento, una ragazza poco più che ventenne abbia potuto viaggiare per il mondo, da sola, rischiando molte volte di incorrere in seri pericoli. A parer mio, Katharina in diverse occasioni risulta inadeguata ad affrontare un viaggio simile poichè, la sua spontaneità si trasforma in superficialità; questa ragazza non conosce assolutamente la cultura e le tradizioni dei popoli che incontra e solo la fortuna, può averla salvata da spiacevoli situazioni.
Predomina il contrasto tra una società aperta come quella europea, in cui la donna è libera di pensare e agire come meglio crede e le società orientali, in cui gli uomini non solo comandano ma, confondono il concetto di donna emancipata con donna dai facili costumi. Le tematiche narrate sono simili a quelle descritte in “Passaggio in India” anche se, i due testi non sono per nulla paragonabili né come stile, né come contenuto.
In conclusione, posso consigliare questa lettura se si è interessati a capire come potesse essere difficoltoso viaggiare per una donna sola verso la metà del Novecento; se si cercano brillanti colpi di scena o avventure mirabolanti tipiche di un romanzo di avventura, non è il libro che fa per voi!
Questo libro era nella mia lista dei testi “da acquistare” ma, visto che in libreria ne avevo già selezionati quattro, lo stavo per posare; poi mi sono detta che comunque lo avrei comprato tra qualche mese…tanto valeva farlo in quel momento! Non me ne sono assolutamente pentita. Mi è piaciuto molto! Barbara Shapiro è riuscita a unire le sue conoscenze di storia dell’arte ad una trama che, sebbene inventata, è assolutamente realistica; ella ha creato un intreccio contorto che porta il lettore a scoprire la verità solo verso le ultime pagine. Non immaginatevi un romanzo poliziesco,noir o un thriller mozzafiato dove, sono descritte sparatorie o inseguimenti…la storia si sviluppa lentamente, tra Europa e Stati Uniti, rivelando poco alla volta gli eventi e i misteri accaduti nel decennio tra il 1920 e il 1930.
La storia riguarda una giovane ragazza belga Paulien che, viene ripudiata dalla sua famiglia perché, accusata di aver mandato sul lastrico il padre, noto collezionista d’arte. In realtà, la ragazza è stata ingannata dal fidanzato George, faccendiere e ladro, che organizza, a sua insaputa, la truffa finanziaria e poi scappa con tutti i soldi, poco prima del matrimonio.
Paulien scappa a Parigi e cambia nome diventando Vivienne; dopo un inizio difficile, trova lavoro presso una piccola galleria d’arte e conosce un milionario statunitense Edwin che, la ingaggia per scovare opere di nuovi artisti emergenti quali Cezanne, Lipchitz, Soutine, Modigliani, ma soprattutto Matisse. Henry Matisse è un personaggio chiave in questo racconto e anche i suoi quadri diventano parte fondamentale dell’intreccio. Vivienne viene successivamente assunta da Edwin prima, come segretaria e poi, come sua collaboratrice nella la sua “scuola d’arte”. Ella parte per una nuova vita a Philadelphia sperando, di vendicarsi del suo ex fidanzato e riportare al padre i quadri perduti ma, inconsapevolmente, sarà coinvolta in un omicidio e una disputa giudiziaria da cui dovrà difendersi strenuamente. Non scrivo altro per non svelare ulteriori informazioni però, il racconto si svolge su diversi piani temporali che non disorientano mai chi sta leggendo.
Avvincente! Inoltre, la descrizione, per nulla pomposa,
delle opere di Matisse e di altri artisti appassiona il lettore e lo stimola a
conoscere la storia di questi dipinti e dei loro autori. Al termine del libro,
l’autrice scrive una breve nota su quali informazioni all’interno del testo siano
vere e documentate e quali invece, scaturite dalla sua immaginazione; penso che
sia stata davvero abile a creare un puzzle così articolato miscelando,
perfettamente, la realtà alla fantasia!
” Avrei voluto che questa storia me la raccontasse lui. Avrei voluto avere il tempo di sentirla. Ma in un certo senso sono consapevole che il libro esiste perché non c’è più l’uomo”
Il libro racchiude molteplici storie; la prima, quella più importante, relativa alla gioventù del padre dell’autrice, Leonardo Barone, ricostruita tramite interviste ad amici e colleghi dell’epoca. Perché la vita di L.B, come viene denominato durante il racconto, non è stata una vita piatta e noiosa anzi, al contrario, egli ha attraversato l’epoca a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, vivendone in prima persona i cambiamenti che si stavano compiendo; durante la narrazione, ne viene indagato anche l’aspetto più intimo, portando alla luce il pensiero che lo guidò a determinate scelte. Marta Barone prende spunto proprio dalla vita del padre per darci un spaccato più ampio di questo periodo storico, soprattutto sullo strappo sociale, costituito non solo dalle lotte e dagli scioperi ma anche, dalla nascita di vari movimenti giovanili. Torino fa da sfondo alla vicenda; per chi conosce la città, è ancora più interessante scoprire come certe zone, oggi assolutamente “anonime”, possano essere stati luoghi importanti per la trasformazione del centro urbano così legato alla “Fabbrica”.
L’autrice, descrive gli eventi in maniera precisa, ma senza dilungarsi troppo ed evitando di esprimere giudizi; il testo riporta i fatti come le sono stati raccontati durante le diverse interviste e come sono scritti nei documenti che ha analizzato. Procedendo con la lettura, si capisce il duro lavoro di studio e di ricerca che sta dietro a questo libro ed inoltre, emerge la paura e la sofferenza nello scoprire poco a poco le vicende legate alla figura del protagonista. Difatti, l’autrice non ha mai avuto un buon rapporto con il padre, ha sempre percepito che ci fosse qualcosa che le venisse nascosto e non le permettesse di creare un legame autentico. La morte di quest’ultimo, ha scatenato in lei emozioni contrastanti, che l’hanno spinta prima a decidere di contattare amici e colleghi di gioventù per conoscere la vera storia e poi a trasformare il materiale raccolto in un libro. In alcuni paragrafi, si coglie questa difficoltà ad accettare ed elaborare la figura di L.B come padre e non come semplice protagonista di un romanzo.
La narrazione è fluida, sebbene i dialoghi siano esigui e gli episodi raccontati siano molti; alcuni di essi, avrebbero potuto appesantire molto il testo e renderlo addirittura di difficile comprensione, dato il tema affrontato, invece, l’autrice è riuscita a rendere il tutto con una scrittura chiara ed agile. Ho apprezzato molto come sia riuscita a coniugare la parte “privata” con la parte “storica” senza esprimere giudizi e come si sia messa in gioco in prima persona affrontando le sue paure. Inoltre, secondo me è notevole che una ragazza così giovane abbia scelto per il suo primo libro, un tema storico ancora recente e scottante, di cui si continua a dibattere creando contrasti e critiche.
Il libro è tra i dieci finalisti per il premio Strega 2020. Ringrazio la mia amica Lellepod per avermi consigliato questa lettura!
Ho comprato questo libro sia perché è considerato una pietra miliare del romanzo umoristico contemporaneo sia perché, attratta dal titolo geniale! Non piacendomi il concetto del viaggio in crociera, volevo capire quali fossero le impressioni di un giovane autore come Wallace dopo un viaggio di questo tipo.
Davide Foster Wallace a metà degli anni novanta era stato incaricato dalla rivista “Harper’s Magazine” di redigere un articolo sul soggiorno di una settimana a bordo della nave da crociera “Nadir”. Le osservazioni e la riflessione che ne risultarono furono talmente articolate, da richiedere la stesura di un libro!
Devo dire che sono rimasta un po’ delusa; innanzitutto, non lo definirei assolutamente un romanzo ma, come è evidente nel sottotitolo (ed è scritto anche sulla copertina del libro), è un reportage dettagliato sulla vita a bordo della nave. Il testo è caratterizzato da lunghe descrizioni tecniche e molti dettagli che influiscono parecchio sulla fluidità del testo. Inoltre, la lettura è continuamente interrotta da note a piè di pagina, alquanto prolisse e spesso superflue che appesantiscono ulteriormente la lettura. Come se non bastasse, lo “humor” così tanto pubblicizzato, è quasi inesistente; qualche battuta o aneddoto simpatico ma, niente di più.
L’aspetto interessante che ne risulta, è un’analisi del mercato e dello spaccato sociale riferito al ceto medio americano. L’autore descrive come se fossero animali allo zoo, i comportamenti di persone comuni, inserite in un ambiente finto e ovattato in cui, si viene inglobati in decine di attività; ai viaggiatori viene promesso un relax completo ma nella realtà, si trasformano in un gregge di caproni che manda avanti il baraccone della “vacanza extralusso”. Infatti Wallace, prova un marcato disagio in molte occasioni e ciò, viene riassunto chiaramente da questa frase:
Per tutta la settimana mi sono ritrovato a fare tutto il
possibile per distinguermi, agli occhi dell’equipaggio, dal gregge di caproni
di cui faccio parte, per discolparmi in qualche modo»
La copertina è azzeccata! Il luna park allestito sulla nave rende molto bene il concetto che vuole trasmettere l’autore mentre, lo sfondo di un celeste così acceso ricorda la descrizione delle tonalità del cielo e del mare caraibico.
Consiglio la lettura a tutti coloro che vogliono scoprire come si svolge durante una crociera e se potrebbe piacergli una vacanza organizzata con queste modalità.
E’ la storia realmente accaduta di William Chester Minor, medico americano affetto da schizofrenia che, rinchiuso all’interno di un manicomio in Inghilterra, collabora alla stesura del più importante dizionario inglese dell’epoca vittoriana: l’Oxford English Dictionary (OED). Il lavoro di ricerca di nuovi lemmi e le citazioni ad essi correlate, impegnano quotidianamente il Dottor Minor e ciò, diventa una terapia grazie alla quale, può liberare la sua mente oltre i cancelli del manicomio. Durante il corso degli anni, intrattiene una corrispondenza epistolare con il direttore del progetto, il Professor Murray; i due si scambiano opinioni e discutono di filologia, creando pian piano uno stretto legame. Più tardi, quando il professore scopre chi sia e dove viva il suo collaboratore più entusiasta, lo andrà a trovare e si creerà un vero e proprio rapporto di amicizia.
La trama è avvincente e si fa fatica a credere che gli episodi raccontati siano realmente registrati in archivi di ospedali, manicomi ed ambasciate…è una storia davvero incredibile! Simon Winchester, come spiega dettagliatamente negli ultimi capitoli, ha compiuto una ricerca attenta e minuziosa tra carte impolverate e documenti rovinati dal tempo, incontrando anche difficoltà nel reperire il materiale, sia per motivi amministrativi che governativi.
Oltre alle vicende direttamente correlabili ai due protagonisti, l’autore coglie l’occasione per spiegare al lettore, com’è nato il progetto di creare un “dizionario della lingua inglese” e cosa significasse, durante l’epoca vittoriana, proporre e cercare di realizzare un’idea così grandiosa. Inoltre, Simon Winchester si sofferma a descrivere l’organizzazione di questo immenso lavoro e le difficoltà incontrate dal Professor Murray nel portarlo avanti in modo ordinato e programmato.
L’autore traccia un quadro storico completo della situazione
politica, culturale e sociale di quest’epoca: si narra dell’Inghilterra
vittoriana con i suoi pregi e le sue contraddizioni, della guerra di Secessione
Americana e delle crudeltà ad essa connesse, ma anche, di religione e delle
condizioni di vita nelle colonie britanniche.
Mi è piaciuto il libro non solo per la storia in sé, che coinvolge il lettore ma soprattutto perché, sfogliando le pagine, si respira la passione e la perseveranza di questi uomini per cui il loro progetto è diventato parte della loro vita. Lo consiglio, innanzitutto a coloro che sono interessati alla filologia ma anche, a coloro che, come me, apprezzano racconti di fatti storici talmente clamorosi da sembrare immaginati. Devo ammettere che alcuni capitoli, soprattutto quelli riguardanti la stesura, l’organizzazione e la pubblicazione dell’l’Oxford English Dictionary li ho trovati prolissi e un pochino noiosi; spesso la fluidità della narrazione è appesantita da questi frammenti fin troppo specialistici.
Nel 2019, hanno realizzato anche un film, liberamente ispirato
al libro in questione, interpretato da Mel Gibson e Sean Penn. Non posso
esprimere un giudizio perché non sono ancora riuscita a vederlo ma lo farò
appena possibile!
Ambientato a Francoforte nel 1963, il libro racconta di Eva, ventottenne tedesca, interprete di polacco che viene chiamata urgentemente per fare da interprete durante un interrogatorio in tribunale. E’ sorpresa, perché generalmente è abituata a lavorare per aziende coinvolte in scambi commerciali ma questo caso è delicato e non può aspettare. Si tratta, infatti, dell’interrogatorio che precede l’inizio di uno dei processi più importanti della storia cioè, il processo di Francoforte noto anche come secondo processo di Auschwitz; questo si tenne tra il 1963 ed il 1965 a Francoforte e vide come imputati ventidue SS, accusati di crimini commessi nel campo di concentramento di Auschwitz. Eva, incredibilmente all’oscuro di ciò che era stato commesso nei campi di lavoro, si rende conto della tragedia occultata per tanto tempo e ciò, la cambia profondamente; da ragazza ordinaria, convinta di sposare un uomo e vivergli accanto, mettendo da parte le proprie passioni e occupazioni, diventa una donna determinata, pronta a lottare perché, le persone che la circondano, non neghino l’evidenza dei fatti.
L’autrice è
stata capace di trattare un argomento così forte, con molta delicatezza ma, non
tralasciando i passaggi fondamentali della vicenda. Emerge tra le righe l’assoluta
calma degli imputati, convinti che “il sistema” li proteggerà, la sofferenza, mista
al coraggio delle vittime, nel raccontare le ferocia e la disumanità a cui
erano sottoposte e l’omertà della
popolazione di fronte a questa tragedia, terrorizzata dal perdere la “vita
tranquilla” che con difficoltà si è ricostruita nel dopoguerra.
La trama si
basa su fatti realmente accaduti e si intrecciano con le vicende personali,
assolutamente plausibili, della protagonista; in questo modo, viene descritta
la vita nel periodo postbellico e l’organizzazione della società tedesca. Viene
evidenziata la posizione della donna che lavora ma, vuole emanciparsi, rifiutando
il concetto di “donna di casa” sottomessa al marito; Eva in particolare, si
troverà a scegliere tra il matrimonio e il lavoro, senza aver la possibilità,
almeno inizialmente, di coniugare entrambe le cose: questo, non fa che
accrescere la sua frustrazione. Mi è piaciuto molto che ci sia sempre un buon
equilibrio tra sofferenza e riscatto sia per la protagonista ma anche per le
figure in secondo piano.
La narrazione è
fluida, non ridondante, in modo da appassionare il lettore che si muove sia su
più fronti narrativi. Inoltre, i personaggi secondari sono ben rappresentati e
aiutano tracciare un quadro più completo di tutta la storia. Insomma, la
lettura risulta molto piacevole e coinvolge totalmente il lettore.