Il colibrì

Sandro Veronesi (2019) Romanzo

Voto: 3.5 out of 5 stars (3,5 / 5)

Marco Carrera, protagonista del romanzo, è un oculista che passa la sua vita a rimettere insieme i cocci dopo che qualsiasi imprevisto o avversità colpiscono lui o la sua famiglia. E’ un lavoro a tempo pieno perché la vita di Marco è costellata da disgrazie e sfortune (fin troppe!). Il protagonista sarà inevitabilmente segnato da alcuni eventi, ma sarà sempre in grado di rialzarsi e riportare il tutto alla normalità. Per questo, la sua amica lo definisce un colibrì.

“Tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei. Sei formidabile, in questo. Riesci a fermarti nel mondo e nel tempo, riesci fermare il mondo e il tempo intorno a te, certe volte riesci addirittura anche a risalirlo, il tempo, e a ritrovare quello perduto, così come il colibrì è capace di volare all’indietro.”

In questo romanzo si toccano tutte le fasi di una vita: dalla spensieratezza dell’adolescenza fino all’accettazione della morte; quest’ultima, è un tema che ritorna molto spesso durante la narrazione e l’autore, cerca di descrivere e analizzare, il ventaglio di emozioni che emergono in seguito a questo triste evento. Il vero fulcro del romanzo è la famiglia; Marco cercherà in tutti i modi di creare una famiglia “perfetta” e a “mantenere in vita” quella passata, attraverso il restauro di cimeli di famiglia e il ricordo degli anni dell’infanzia .

Ho letto recensioni poco entusiaste riguardo a questo libro ma l’ho acquistato ugualmente poiché è stato il vincitore del premio Strega. L’ho trovata una lettura piacevole sia per lo stile colloquiale, che per le diverse forme di scrittura: dalle mail, alle lettere, dalla messaggistica istantanea agli elenchi. Mentre i primi capitoli li ho trovati poco coinvolgenti, il capitolo finale mi ha particolarmente colpita; infatti, è evidente l’intento da parte dell’autore, di spingere il lettore a riflettere su un tema attuale e controverso che ancora divide la società.


Come ho letto in qualche recensione, questo libro è un inno alla resistenza e aggiungerei anche alla resilienza. Personalmente, avrei assegnato il premio Strega a Marta Barone sia per la trama, che per l’argomento trattato ma, in ogni caso, questo racconto è coinvolgente anche solo per capire quale sia la sorte di questo sventurato personaggio!

Fino a quando la mia stella brillerà

Liliana Segre e Daniela Palumbo (2015) Libro-Testimonianza

Recensione di Viola

Alla fine della giornata il mio mondo di fantasia, al quale mi aggrappavo per “fuggire” dal campo, era diventata una piccola stella che vedevo in cielo. Sempre la stessa […] Da quella sera, ogni giorno quando arrivava il buio la cercavo, le parlavo. […] Vedendola, dentro di me le dicevo: «Finché io sarò viva, tu, stellina, continuerai a brillare nel cielo. Stai tranquilla, io non morirò. Io sarò sempre con te.» Liliana Segre, senatrice a vita nata nel 1930 a Milano, nel libro “Fino a quando la mia stella brillerà” narra in modo semplice e coinvolgente la sua vita e rende partecipe il lettore del dramma della Shoah. Orfana di madre, viene cresciuta da un padre amorevole e trascorre un’infanzia serena nel capoluogo lombardo, apprezzando molto il valore dell’istruzione e la sua insegnante. Nel 1938, però, le leggi razziali sconvolgono per sempre la sua esistenza: Liliana è costretta ad abbandonare la scuola, le sue amicizie e infine la sua abitazione. Nel 1944 viene deportata al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau , che raggiunge dopo un viaggio estenuante durato sette giorni. È subito separata dal padre, che purtroppo non rivedrà mai più. Liliana, nel ripercorrere un momento tanto doloroso della sua esistenza, svela al lettore le sue emozioni, le sue preoccupazioni e i suoi pensieri più intimi. Nella terribile vita del campo di concentramento il suo unico conforto diventa una stella, che osserva tutte le sere. “Finché io sarò viva, tu continuerai a brillare”. Pur non potendo paragonare l’attuale periodo di emergenza epidemiologica a un momento così tragico della storia del Novecento come quello della Shoah, questo libro autobiografico può ricordarci quanto sia importante lottare per raggiungere i propri scopi e non abbandonarsi alla disperazione. Anche nei momenti maggiormente tetri e angusti dell’esistenza la nostra “stella” può guidarci e incoraggiarci.

Cambiare l’acqua ai fiori

Valerie Perrin (2019)              Romanzo

Voto: 4.5 out of 5 stars (4,5 / 5)

Questo libro racconta dell’amore: l’amore giovanile, l’amore clandestino, l’amore impossibile e poi quello più grande e puro: l’amore di una madre per un figlio; tra le sue pagine si intrecciano storie di molti personaggi che “amano”, ognuno a suo modo suo ma, comunque, sinceramente e profondamente. La protagonista del romanzo è Violette, custode di un cimitero e confidente per molti visitatori che, si siedono nella sua cucina e parlando con lei, confessano i loro pensieri pensieri più intimi. Ma Violette, chi è veramente? Cosa l’ha portata a diventare la custode di un piccolo cimitero? che animo nasconde dietro quel portamento dimesso e calmo?  Valerie Perrin racconta il passato della protagonista ma anche il presente cisto che una mattina, all’improvviso, bussa un uomo, un commissario di Polizia e….non svelo altro!

Se volessi descrivere con un aggettivo questo romanzo userei il termine “delicato” perché emozioni e sentimenti vengono descritti senza adoperare toni o termini eccessivamente drammatici o concitati; in ogni caso, si comprende molto bene lo stato d’animo dei diversi personaggi cogliendo le molteplici sfaccettature dei loro pensieri. Il lettore entra in punta di piedi nella vita di Violette, come un visitatore del cimitero che davanti ad una tazza di tisana, ascolta la sua storia, così intensa e triste, ma veramente coinvolgente.

E’ un testo originale poiché all’interno racchiude diversi generi per cui, ed è difficile da etichettare. Senza dubbio è commovente e in diversi punti, complice il momento che sto vivendo, ho versato qualche lacrima. Lettura assolutamente da consigliare e per godersela a pieno, suggerirei di iniziarla durante il periodo invernale, sdraiati sul divano bevendo una bevanda calda, in modo da assaporare meglio l’atmosfera del romanzo.

L’eredità delle dee: una misteriosa storia dai Carpazi Bianchi

Katerina Tuckova (2012)    Romanzo

Voto: 3 out of 5 stars (3 / 5)

E’ un racconto particolare che amalgama la realtà storica alla ricostruzione romanzata. Il romanzo è incentrato sulle figure di alcune donne guaritrici, soprannominate le “dee”, che abitavano fino a metà Novecento i territori al confine tra Repubblica Ceca e Slovacchia; le dee “curavano” chi chiedeva il loro aiuto, con erbe e riti al limite tra religione e magia. L’autrice, grazie a documenti ritrovati negli archivi, ha scoperto che queste donne hanno destato da sempre l’interesse della politica. Infatti, i nazisti ne studiarono le tradizioni mentre i socialisti le perseguitarono additandole come ciarlatane e collaborazioniste; addirittura nel Medioevo furono bruciate sul rogo come streghe.

Il libro è ambientato tra gli anni ‘30 e gli anni ‘80 del Novecento a Zitkova, paese ai piedi dei Carpazi Bianchi e si narrano le vicende di Dora Idesova, ultima discendente della stirpe delle “dee”. La protagonista dopo aver vissuto in collegio parte dell’infanzia e tutta la sua adolescenza, torna a casa per ricostruire la storia della sua famiglia; in particolare, cerca di capire il motivo della sparizione della zia Surmena e il perché, lei e suo fratello siano stati separati dagli affetti e dalla loro casa. Dora, verrà a conoscenza di credenze e pettegolezzi ma anche, di episodi violenti e crudeli che cambieranno per sempre la sua esistenza

Attraverso un escamotage narrativo l’autrice ha ricostruito, tramite documenti e testimonianze reali, un frammento di storia poco noto. A parer mio, alcune parti del testo che riportano la documentazione di fatti realmente accaduti, sono troppo prolisse e rallentano il ritmo della narrazione.

Una nota positiva va fatta per la copertina; la casa editrice Keller cura molto le raffigurazioni delle copertine dei suoi libri e questo, non fa eccezione!

Ninfee nere

Michel Bussi    (2011) Giallo             

Voto: 4 out of 5 stars (4 / 5)

La faccenda durò tredici giorni. Il tempo di un’evasione. Tre donne vivevano in un paesino. La terza era quella con più talento, la seconda era la più furba e la terza la più determinata. Secondo voi, quale delle tre è riuscita a scappare?” 

Il romanzo è incentrato sull’omicidio di un odontoiatra che abita nel paese di Giverny, noto per essere stato il luogo prediletto da Monet per dipingere il ciclo delle “ninfee”. Inizialmente, la trama sembra poco articolata invece, procedendo con la lettura, si aprono tre filoni d’inchiesta dai quali deriveranno diversi punti interrogativi; i due investigatori incaricati del caso dovranno cercare la verità, esponendosi personalmente e rischiando anche la loro carriera.

Ho acquistato questo libro primo, perché ho letto recensioni molto entusiaste e secondo, perché affascinata dalla copertina: le ninfee scure su uno sfondo rosso brillante hanno destato subito la mia attenzione. La narrazione scorre abbastanza fluentemente anche se, devo confessare, determinati punti mi hanno un po’ annoiata visto che l’autore si dilunga troppo in rappresentazioni di ambienti e i dialoghi a volte non sono così significativi; il ritmo non è mai vivace, le scene si susseguono lentamente poiché, le azioni e i pensieri dei vari personaggi sono descritti molto dettagliatamente, in modo da delineare il carattere delle figure coinvolte. Inoltre, Bussi inserisce riferimenti documentati e nozioni precise sul mondo dell’impressionismo e in particolare, sui dipinti di Monet, che diventano il filo conduttore del romanzo. Un’altra cosa da sottolineare è la scelta di alternare il punto di vista con il quale viene raccontata la storia: in alcune parti, si dà voce ad una misteriosa vecchietta mentre in altre, l’autore sceglie di scrivere in terza persona.

Nonostante la soluzione sia indecifrabile fino alle ultime trenta pagine, proprio per via del ritmo lento e della mancanza di colpi di scena, avrei valutato il romanzo come mediocre invece, mi sono dovuta completamente ricredere . Il finale è sorprendente, originale ed inimmaginabile: è sufficiente per definire questo giallo come uno tra i migliori letti ultimamente. Una volta conosciuta la soluzione del caso, viene voglia di rileggere il testo da capo, sia per apprezzarlo meglio sia per cogliere alcuni particolari che passano inosservati.

“In tutta questa serie di eventi non esiste la minima coincidenza. Niente è lasciato al caso in quest’affare, al contrario. Ogni elemento è al posto giusto, nel momento giusto. Ogni pezzo di quest’ingranaggio criminale è stato sapientemente disposto e credetemi, lo giuro sulla tomba di mio marito, niente potrà fermarlo”.

In conclusione, ne consiglio la lettura avvisando i lettori che non vi troveranno davanti un thriller dove dopo mille peripezie i protagonisti risolvono l’enigma ma, al contrario, un romanzo dove la verità prende forma lentamente. Bussi crea un luogo apparentemente tranquillo, abitato da personaggi ordinari e anche le indagini per il delitto sembrano svolgersi in modo assolutamente regolare; in questo modo, confonde e inganna (passatemi il termine!) il lettore fino al termine del racconto quando (finalmente!) svela la realtà dei fatti che risulta incredibilmente logica e chiara. Ci si rende conto che l’autore ci ha manipolato ma non ci ha mentito: siamo stati noi a dare per scontate alcune informazioni e ad interpretare male alcuni indizi!

La quattordicesima lettera

Claire Evans (2020) Thriller storico

Voto: 3 out of 5 stars (3 / 5)

Se amate gli intrighi incentrati su antichi segreti tramandati a pochi eletti che, per proteggerli sono disposti a compiere atti efferati fino ad uccidere…questo libro fa per voi.

Il racconto è ambientato nella Londra di fine Ottocento; tra le pagine si respira l’aria della grigia città industriale e dei vicoli malfamati dell’East End a cui si aggiunge un’atmosfera lugubre, tipicamente gotica. Dopo un inizio lento, scandito dalla presentazione dei molti personaggi, la narrazione prende un ritmo serrato e in continua evoluzione per i numerosi colpi di scena che mantengono la giusta suspense affinché la storia non perda d’intensità.

E’ il primo romanzo pubblicato da questa autrice che è innanzitutto sceneggiatrice per la BBC e ciò, lo si percepisce durante la lettura perché ci si immagina chiaramente la scena, proprio come se la si guardasse in televisione. Claire Evans descrive l’ambientazione e il susseguirsi degli eventi in modo dettagliato ma, non tanto esageratamente, da appesantire il testo. Pertanto, la scrittura risulta fluida e scorrevole e la trama coinvolge il lettore nel suo vortice fino al finale.

Devo però evidenziare una piccola pecca che potrebbe essere fuorviante per chi vuole comprare il libro; la storia, infatti, non è assolutamente paragonabile a “Le sette morti di Evelyn Hardcastle” (recensito qualche tempo fa) come viene sostenuto nella quarta di copertina. Ciò non significa che la trama sia meno intrigante o avvincente, semplicemente, i due testi differiscono sia per struttura, sia per l’intreccio e l’ambientazione. Al contrario, esprimo un apprezzamento speciale per la copertina che, oltre ad essere elegante per i tratti decorativi e il contrasto tra le linee dorate e lo sfondo scuro, è molto evocativa poiché rappresenta molti dei simboli che ritroviamo durante la narrazione.

Tokyo Express e La ragazza del Kyushu

Seichō Matsumoto

Tokyo Express       Romanzo giallo Voto: 4.5 out of 5 stars (4,5 / 5)

La ragazza del Kyushu       Romanzo Noir Voto: 3 out of 5 stars (3 / 5)

Tokyo Express

I corpi di due giovani vengono rinvenuti in una baia ma il caso viene subito etichettato dalla polizia come suicidio d’amore poiché, entrambi, sembrano aver assunto cianuro. Per Torigai Jūtarō e il suo collega Mihara Kiichi qualcosa non torna: la soluzione sembra troppo scontata, soprattutto se uno dei giovani è implicato in un caso di corruzione ed entrambi hanno avuto comportamenti stravaganti nei giorni precedenti alla morte.
Una trama abilmente congegnata dove il tempo svolge un ruolo chiave; infatti, orari e tratte ferroviarie diventano centrali per la narrazione e per la soluzione del caso. Non scrivo altro per non svelarvi indizi utili ma, vi dò un consiglio: fate attenzione ai nomi delle stazioni ferroviarie perché, per la comprensione dell’intrigo, risulta importante ed essendo termini in lingua giapponese si possono confondere tra loro. Un giallo davvero ben costruito sia per quanto concerne i personaggi, che per l’ambientazione. Il punto di forza del testo sono le descrizioni riguardo alle ipotesi e alle riflessioni elaborate dai due investigatori; l’autore descrive in modo attento ma mai monotono, tutti i passaggi che portano alla soluzione del caso e la lettura risulta sempre lineare e fluida.

La ragazza del Kyushu

Kiriko, ventenne dal volto pallido ma dallo sguardo impassibile, dopo un lungo viaggio dal Kyūshū, arriva a Tokyo con l’obiettivo di parlare con il più illustre avvocato del paese: Ōtsuka Kinzo. La ragazza implora l’aiuto del penalista per far cadere le accuse rivolte al fratello, arrestato per l’omicidio di una vecchia usuraia. Ōtsuka rifiuta sia, perché ha fretta e non ha voglia di ascoltare la vicenda nei dettagli sia perché, la ragazza non potrebbe pagare la sua parcella; da questo episodio, fondamentale per la narrazione, inizia il racconto. Se il tempo era il perno su cui ruotava “Tokyo Express”, in questo libro è la vendetta la reale protagonista della storia; al contrario del primo romanzo che si può tranquillamente etichettare come giallo, “la ragazza del Kyushu” è un noir più che un poliziesco e il ruolo dell’omicidio è importante, ma non centrale. Infatti, è la componente psicologica dei personaggi ciò che l’autore ha voluto evidenziare e su cui si basa la trama; Seichō Matsumoto ci porta a conoscere nell’intimo ognuna delle figure presenti nella narrazione caratterizzandole sia attraverso le azioni sia attraverso i loro pensieri ed emozioni. Non è assolutamente un romanzo d’azione, ma un thriller psicologico che affascina il lettore grazie all’atmosfera di tensione che si viene a creare. Consiglio la lettura anche a chi non ama il genere poliziesco ma predilige testi nei quali vengono tratteggiati i meccanismi psicologici dell’animo umano. Al termine della lettura rimane un retrogusto amaro poiché si aprono diversi spunti di riflessione…ma non scriverò altro!

In conclusione consiglio “Tokyo Express” a chi è amante del giallo classico e delle trame intricate mentre, per chi ama i thriller psicologici, sarà più appagato dalla lettura della “La ragazza del Kyushu”.

Ogni cosa è illuminata

Jonathan Safran Foer   (2002)    Romanzo

Voto: 2.5 out of 5 stars (2,5 / 5)

La storia è ispirata alla vicenda personale dell’autore e si compone di tre percorsi narrativi: il primo, ambientato nel presente, ha come protagonista lo stesso Jonathan che, parte per l’Ucraina con l’intenzione di conoscere Augustine, la donna che aiutò suo nonno a fuggire dai nazisti; il suo obiettivo è recarsi a Trochenbrod e per arrivarci, si fa aiutare da Alex e suo nonno, proprietari di un’agenzia di viaggi. Questa prima parte è raccontata grazie all’espediente di lettere che si scambiano i due ragazzi dopo la fine del viaggio e il ritorno di Jonathan negli Stati Uniti. Inoltre, Foer ne approfitta per rivelarci come questo viaggio abbia cambiato profondamente anche le vite di Alex e di suo nonno, il quale diventa un personaggio chiave della narrazione. La seconda linea narrativa tratta della giovinezza del nonno di Jonathan e descrive i tristi eventi legati all’occupazione nazista dell’Ucraina mentre, il terzo filone , riporta le vicende storiche che si sono compiute, dal 1700 in poi, nel villaggio di Trochenbrod, soffermandosi soprattutto sulla vita di Brod, bis bis bis nonna di Jonathan.

Fino ad ora è stata la recensione più difficile da preparare; lo so che in precedenza ho già scritto di aver difficoltà nel valutare una lettura ma, davvero, questo libro mi ha messo in seria difficoltà. Perché solo 2,5 ad un libro che ha ricevuto così tanti elogi sia per lo stile che per la storia? Vi è addirittura la trasposizione cinematografica…
Vi prego di scusarmi ma, a parer mio, se un lettore fa fatica a capire la trama e non chiarisce i suoi dubbi neanche sul finale, quella storia non è scritta bene; per riassumere, nel mio caso: “ogni cosa non è stata illuminata”. Con questa affermazione, non voglio assolutamente dichiarare che Foer non sia un bravo autore, anzi, “Molto forte, incredibilmente vicino” è uno dei romanzi che quest’anno ho apprezzato di più ma, in questo specifico caso, il continuo alternarsi delle linee temporali e la struttura del testo, creano confusione e ciò rende la lettura davvero molto faticosa.

Se si esaminano singolarmente le caratteristiche del testo, la valutazione risulta del tutto diversa; i tre filoni narrativi sono coinvolgenti ed emozionanti, tuttavia, il continuo “saltare” da uno all’altro crea discontinuità nella lettura anche perché, non c’è un’introduzione ai personaggi. Lo stile adottato da Foer si potrebbe definire “geniale”, poiché mette in evidenza quanto il narratore, ossia Alex, conosca poco la lingua inglese; detto ciò, leggere una traduzione in italiano di un testo grammaticalmente e lessicalmente non esatto in lingua originale è molto complicato e determinati termini come “sfagiolare”, in inglese possono ricondurre al verbo corretto per similitudini ortografiche o fonetiche ma, in italiano, non significano nulla!

Quindi il mio consiglio è di iniziare da “Molto forte, incredibilmente vicino” per approcciarsi a questo autore e solo successivamente, se piace il suo stile, provare ad affrontare questa lettura. Il film può aiutare a comprendere solo parte del racconto poiché alcuni tratti della narrazione non sono stati affrontati.

Le intermittenze della morte

Josè Saramago (2005)                          Romanzo

Voto: 3.5 out of 5 stars (3,5 / 5)

Questa volta Saramago, con il solito stile che lo contraddistingue, ci porta ad affrontare un altro importante tema: la morte. Il “romanzo”, se così lo si può definire, comincia con il seguente incipit:

“Il giorno seguente non morì nessuno. Il fatto, poiché assolutamente contrario alle norme della vita, causò negli spiriti un enorme turbamento, cosa del tutto giustificata, ci basterà ricordare che non si riscontrava notizia nei quaranta volumi della storia universale, sia pur che si trattasse di un solo caso per campione, che fosse mai occorso un fenomeno simile, che trascorresse un giorno intero, con tutte le sue prodighe ventiquattr’ore, fra diurne e notturne, mattutine e vespertine, senza che fosse intervenuto un decesso per malattia, una caduta mortale, un suicidio condotto a buon fine, niente di niente, zero spaccato.”

Ammetterete che si rimane subito incuriositi leggendo questo breve paragrafo. Nella prima parte del libro, l’autore sviscera le diverse sfaccettature della società e del comportamento umano di fronte ad una situazione paradossale: l’improvviso ottenimento dell’immortalità. Non è tutto d’oro quel che luccica e infatti, nascono diverse problematiche a causa dello “sciopero della morte”: le onoranze funebri come si organizzeranno? La chiesa come affronterà la caduta di uno dei pilastri fondamentali su cui si regge la dottrina? Lo Stato come pagherà le pensioni? Come si organizzeranno le famiglie nel prendersi cura dei moribondi? Prendono la parola filosofi, politici, ecclesiastici che riflettono per trovare risposte e soluzioni adeguate al fine di “salvare i loro interessi”. Saramago, grazie a questo escamotage, inserisce una scrupolosa ed elaborata analisi della natura umana messa di fronte ad una circostanza limite. In questa prima sezione non c’è un protagonista e non si racconta una storia: l’autore presenta il quadro generale della situazione descrivendo vari episodi, senza descrivere troppo dettagliatamente gli ambienti e le figure interessate.

La seconda parte è assolutamente differente e si capisce subito la trasformazione del testo, caratterizzato da una vera e propria trama con protagonista e personaggi ben definiti . Si racconta l’episodio in cui la morte, stufa nel vedere gli uomini complicarsi la vita dopo aver ottenuto l’eternità, ricomincia a compiere il suo lavoro, tornando a far morire le persone. Questa volta, però, adotta una nuova tecnica; invece di presentarsi davanti al malcapitato avvolta in un mantello nero e brandendo la nota falce, invia per posta, una settimana prima del triste evento, una lettera di color viola affinché il soggetto possa accomiatarsi come meglio crede dal mondo. Saramago umanizza la morte dandole un “volto” e “un’anima”, conferendole pensieri ed azioni proprie di un qualsiasi uomo o donna e così la fa diventare protagonista indiscussa di questo secondo capitolo.

La prima sezione mi è piaciuta molto perché fa riflettere il lettore su alcuni capisaldi della vita, mentre devo confessare che la seconda parte mi è sembrata banalizzasse la precedente analisi; obiettivamente ho trovato complesso capire fino in fondo cosa ci volesse trasmettere l’autore. Avrei trovato più logico scambiare i due capitoli: iniziare dalla parte più “romanzata” e proseguire con la parte più “analitica”. Ovviamente, questa è la mia umile opinione e non voglio criticare Saramago, cui sono affezionata, poiché riesce sempre a colpirmi grazie alla sua bravura nell’esaminare aspetti sostanziali della vita partendo da contesti assurdi.

Penso che questo libro possa essere considerato un “classico moderno” a tutti gli effetti; per cui raccomando la lettura a tutti. Consiglio, come ho scritto per “Cecità”, di approfittare di un periodo di tranquillità in cui ci si possa concentrare su ciò che si sta leggendo; non è un testo facile né per l’argomento affrontato né per lo stile proprio dell’autore, ma ne vale veramente la pena.

A chi interessa approfondire questo argomento, ho trovato questo video in cui il Professor Saudino, docente di filosofia, realizza un’attenta e accurata analisi del testo. https://www.youtube.com/watch?v=tph9lT7nvcU

La confraternita degli storici curiosi

Jodi Taylor (2020) Romanzo di avventura

Voto: 3 out of 5 stars (3 / 5)

Ho comprato questo libro attirata dal titolo che trovo veramente accattivante e dalla curiosa immagine sulla copertina. La storia è di fantasia ma l’autrice ha saputo ben amalgamarla con episodi storici reali. L’idea di base, su cui si fonda la narrazione, è ottima: chi non vorrebbe tornare indietro nel passato per osservare ed analizzare fatti veramente accaduti? Chi non vorrebbe lavorare per un’organizzazione “segreta” che raccoglie direttamente sul campo le informazioni dei secoli antecedenti, per poi presentarle al mondo attuale, come ricerche? La trama è avvincente e le parti più dinamiche si intervallano in perfetto equilibrio con le parti romanzate, più descrittive; i personaggi nonostante siano numerosi, sono ben delineati e si memorizzano facilmente. Ho trovato, però, che l’ultima parte sia un po’ sottotono e lo scontro con “tra buoni e cattivi”, sia presentato in modo confusionario e frettoloso, giusto per lasciare il finale aperto al prossimo capitolo della saga.

Non è un romanzo “banale” come qualcuno lo ha definito nelle recensioni, semplicemente, non è un capolavoro letterario ma, se piace il genere, può essere una lettura piacevole e di evasione; ho apprezzato molto non solo l’idea ma anche, l’inventiva con cui Jodi Taylor ha creato questa “strana realtà dell’Istituto Saint Mary”. Inoltre, vengono inserite tematiche importanti, quale ad esempio la morte che, aggiungono alla trama qualcosa “di più profondo e intimo”. E’ vero che, come ha commentato qualcuno sul web, l’autrice avrebbe potuto descrivere più precisamente le modalità di “viaggio nel tempo” o le attrezzature utilizzate dai protagonisti ma, in fondo, poteva non avrebbe solo appesantito la storia?

La lettura scorre velocemente, il racconto è coinvolgente ed è adatto sia per adulti che per ragazzi ai quali piace servirsi di un libro per “staccare il cervello” dalla routine quotidiana.